Qualche giorno fa ho letto un articolo illuminante su UX Collective, un blog che seguo molto e ho deciso di riportartelo, aggiungendo alcune mie piccole considerazioni personali.
In breve spiegava come l’industria del digital design abbia molto da “tagliare” per tornare a ridefinire un processo di progettazione più snello ed efficace.

Perché?  Lascio che un veloce schema te lo spieghi:

Ma facciamo un passo indietro e cerchiamo di esaminare il problema in questione.

UI-UX sono davvero di tendenza in questo momento

Oggi per seguire un valido progetto di UX sembra siano necessari ricercatori, analysis, wireframer, costruttori di personas, altri marketers e, se c’è tempo e budget, magari anche qualche designer. Ovviamente sono TUTTI necessari per la buona riuscita dei progetti. O almeno così sembra.

Questa branchia dell’industria creativa è cresciuta smisuratamente negli ultimi anni ad un ritmo incredibile.
Le tariffe orarie dei professionisti sono salite alle stelle e gli UX Designer sembrano ormai diventate divinità del settore.
Il loro consiglio è stato apprezzato e adorato. Per non parlare dei titoli che rappresentano il loro ruolo all’interno del processo produttivo: così lunghi da perdere letteralmente senso. 

Giusto per citarne un paio: “User Experience Interaction Manager of Flow and Customer Journey” oppure “Full Stack User Experience Practitioner”

A D O R O 

Ovviamente questo ha portato alla creazione di siti geniali come questi:

che generano titoli professionali assolutamente senza senso ma dall’aspetto, purtroppo, molto familiare.

Qual è quindi il problema principale?

Come si suol dire: troppi cuochi guastano la cucina.

La distanza tra cliente e designer è attualmente enorme. Tra essi vi sono esperti di marketing, ricercatori, project manager, la loro mamma e probabilmente pure il cugino che sa farlo meglio. Ognuno sente il forte di bisogno di aggiungere qualcosa di suo al prodotto finale.

Sembra di giocare al “telefono senza fili” in cui ad ogni iterazione il messaggio viene distorto sempre di più. Vi lascio immaginare il risultato finale.

Siamo rimasti così legati e fossilizzati nei processi che ormai ci siamo dimenticati di quanto sia veramente utile nostro design.

Facciamo un esempio: tutti inseriscono nel proprio sito un popup per raccogliere iscritti alla propria newsletter. Perché? Beh… i dati mostrano che vale la pena farlo, no?!

L’attenzione ormai è concentrata più sul dato (apparentemente così facile da interpretare o distorcere) invece che fare un passo indietro e ragionare su come progettare una migliore esperienza per l’utente. Questo tipo di pensiero però necessità di lasciare libertà al designer. Libertà di prendere decisioni da solo, senza focalizzarsi unicamente sui dati e le statistiche. Libertà di progettare. Per POI decidere di sottoporre il nostro prodotto agli utenti e raccogliere dati.

Il processo attualmente è spesso paradossalmente invertito: copiamo gli errori che abbiamo visto fare agli altri e facciamo ricerche inutili per dimostrare che funzionano.

In quei rari casi ascoltiamo le frustrazioni dei clienti e proviamo a risolverle, troviamo sicuramente il reparto marketing o “la nostra ricerca lo dimostra” di turno a fermarci. Tutte queste persone e questa confusione, combinate all’eccessiva dipendenza dai dati precedenti creano disastri.

Se siamo tutti così super competenti, perché la maggior parte dei prodotti digitali fanno schifo?

La chiave è creare un team più piccolo e concentrato che sia vicino al prodotto e che pensi davvero all’usabilità.

  • Dobbiamo innanzitutto tornare a parlare come esseri umani e riuscire a farci comprendere da tutti.
  • Trattare sia gli utenti che i clienti come persone, non come dati.
  • E pensare seriamente prima di progettare: ha senso per me? Io lo apprezzerei oppure sarebbe un comportamento fastidioso e intrusivo?

La UX ha un altro grande problema comune.

Si chiama UI ed è un problema piuttosto grande.
Questo perché spesso gran parte degli “UX Designers” non sa progettare . Ebbe si, l’ho detto.
Gli UX Designer non sanno progettare. Anzi, i più bravi a interpretare usabilità e comportamenti degli utenti, come grafici.. bè, fanno proprio c***re.
Realizzare un wireframe a matita su carta e posizionare il pulsante “acquista ora” nell’angolo in alto a destra è un progetto di design paragonabile a una casetta disegnata su un tovagliolo.

Quindi c’è un ENORME gruppo di pensatori intorno al tavolo nella sala riunioni che non riesce neanche lontanamente a immaginare il prodotto finale nella sua forma compiuta. Non pensano ai caratteri, ai colori, alla leggibilità, alle griglie o alla struttura.

Dovremmo escludere la maggior parte di quelle persone dai processi di progettazione e dare loro il tempo di imparare a usare Sketch.
“Verticalizzare” come si sul dire, non è più sufficiente. È necessario creare piramidi come quella riportata nello schema qui in basso a destra.
Dovremmo evitare metodi lineari e scollegati tra loro e orientarci verso una “sovrapposizione di abilità“.

Il team è il segreto

Due designer (e intendo due VERI designer) che comprendono la ricerca e comprendono come e cosa possa pensare come l’utente, riusciranno a realizzare un’interfaccia utente sicuramente migliore rispetto a quella creata da un team di 20 esperti messi insieme.

Gli “esperti”, infatti non sempre sono compatibili tra loro, poiché la loro formazione si è sviluppata verticalmente su un singolo tema/disciplina.
Ciò ovviamente non porterà ad un risultato vincente.

Si chiama gap informativo: dobbiamo capire appieno di cosa parlano gli altri membri del team per riuscire a generare valore e contribuire alla realizzazione di un progetto valido. Uscire dalla nostra comfort zone per accrescere il nostro set di competenze è decisamente un buon modo per raggiungere l’obiettivo desiderato.

Applicando questa logica, le lacune saranno molto più piccole da colmare e molti di più i punti d’incontro e i metodi con cui il team riuscirebbe a collaborare. 

Naturalmente i team sono necessari per il processo UX, perché avere prospettive differenti consente di far emergere idee migliori.
Ma quelle squadre non possono essere composte dagli attuali gruppi di professionisti, abili e qualificati solo ed esclusivamente in una materia e che parlano del progetto solo durante le riunioni.

Il design avviene attraverso un mix di pensieri, progettazione, test e di nuovo pensieri, progettazione, test e così via.

La soluzione per uscire da questa situazione quindi?

Basta con questa storia dell’UX.
Semplifichiamo le cose: chiamiamolo web design o digital design.
Fa così brutto?

Non mi stancherò mai di dirlo: aumentare il numero delle nostre competenze dev’essere fondamentale.
Tutti coloro che lavorano ad un prodotto digitale dovrebbero capire come progettare l’interfaccia di prodotto. Almeno le regole base.
Dovrebbero anche capire come vengono eseguiti i test sugli utenti, progettare flussi di navigazione adeguati e trasmettere le decisioni aziendali nella forma più semplice e chiara per tutti.

Ultimo ma non meno importante: il team che lavora al progetto dovrebbe essere il più vicino possibile al prodotto.
Dovrebbero utilizzare attivamente il prodotto per capirne in prima persona potenzialità e carenze.

Gli UX Designer dovrebbero essere anche gli utenti.
Se tutta quella ricerca e questi incontri hanno portato a un prodotto mediocre, allora qualcosa c’è decisamente sbagliato nel processo.

Non credi?

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